Aosta si è parlato del "Calendario di Coligny", la tavola celtica che spiega la Luna ed i pianeti
Mercoledì 25 Novembre 2009
Scritto da Elena Meynet
L'anno internazionale dedicato all'astronomia ha ricevuto ancora un omaggio dalla Valle d'Aosta, con la mostra-convegno dedicata a "L'astronomia dei Celti e il calendario di Coligny", organizzata dal Consiglio regionale della Valle d'Aosta, con la direzione artistica di Laura Plati, menmbro del "Clan della Grande Orsa", già organizzatori di "Celtica". La ricostruzione del più antico calendario europeo, attribuito alla cultura celtica, è stata ospitata dalla sala "Torre dei Signori" di Porta Praetoria ad Aosta: Giuseppe Stucchi ha curato la ricostruzione delle 153 parti in bronzo del calendario, ritrovate fortunosamente in fondo ad un pozzo, presentata con scenografie realizzate da Elena Radovix.
Nella settimana di apertura la mostra ha raccolto diverse centinaia di visitatori, così come sono stati numerosi i partecipanti alle diverse conferenze sul tema:«secondo la tradizione - ha spiegato Guido Cossard, fisico e archeoastronomo che ha tenuto, martedì 17 novembre, la conferenza inaugurale - si tratta di un calendario lunare, suddiviso in cinque anni, tre dei quali di dodici lunazioni e due di tredici, ma ne darei una lettura diversa. Al di là del significato simbolico, mi sembra che si possa leggere non tanto il modo per definire le fasi lunari, cosa che risulta piuttosto imprecisa e in questo senso strana per gli antichi, ma per prevedere la posizione della luna in cielo».
Quello di Coligny, ritrovato nel 1897 nella regione dell'Ain in Francia, l'antica terra dei Galli Ambarri, non sarebbe quindi un calendario lunare ma una sorta di mappa per calcolare il movimento dei pianeti:«letto in questo modo - ha continuato il fisico e archeoastronomo - questo documento diventa estremamente preciso, fino a prevedere la posizione di Mercurio, ad esempio, con possibilità di errore di un giorno su trent'anni, meglio del calendario dei Maya per Venere». In più, il metodo ricorda un sapere dei nostri nonni: «anche in Valle d'Aosta, in campagna, si guarda "la planeta", la luna - ha ricordato Cossard - e il movimento è segnato sia sui nostri calendari contadini sia nell'Almanac Savoyard».
Gli altri due incontri di sabato 21 e domenica 22 novembre, hanno permesso di approfondire il discorso sui Celti, la loro astronomia e il loro concetto di misurazione del tempo, assieme ad Adriano Gaspani, dell'"Osservatorio astronomico di Brera", a Milano, con la sorpresa di ricevere in dono la riproduzione di una moneta celtica, che su una faccia riproduce il volto della dea "Dana" ("Diana" o "Artemide", nella cultura classica) e sull'altra il leone, che oggi corrisponde alla costellazione dello scorpione: «la ricerca archeologica - ha sottolineato l'archeoastronomo - ci sta mostrando sempre di più che le popolazioni celtiche non erano i "barbari" come ci è stato sempre insegnato da chi ha seguito un certo tipo di impostazione culturale abbastanza generalizzata in passato, ma costituirono una grande cultura europea durante il primo millennio a.C. Le popolazioni celtiche tenevano in gran conto anche l'astronomia e se ne servivano per la pianificazione efficace del culto, della vita sociale e di quella agricola e pastorale, attraverso le osservazioni astronomiche che i druidi eseguivano in modo continuativo».
In Valle d'Aosta, il cerchio di pietre, il cromlech del Piccolo San Bernardo che risale all'età del bronzo e forse anche prima, richiama un legame dell'epoca dei Celti con la misurazione del tempo e il movimento dei pianeti come il giorno del solstizio d'estate, con il sole che tramonta dietro una sella del Lancebranlette:«esistono siti archeologici, quali ad esempio il "Grande Cerchio di Tre Camini" presso Como - ha aggiunto Gaspani - un grande triplo cerchio di pietre di sessantotto metri di diametro, risalente al sesto secolo a.C., la cui unica funzione ipotizzabile è quella di osservatorio astronomico, che è stato possibile stabilire proprio sulla base della conoscenza dell'astronomia dei Celti. In secondo luogo bisogna rendere giustizia storica alle popolazioni celtiche mettendo in evidenza anche il loro reale avanzamento culturale. Per il resto, molte tradizioni ed usanze astronomiche diffuse tra i contadini ed i pastori delle nostra campagne hanno origini molto antiche che si propagano all'indietro attraverso il medioevo fino all'età del ferro dove furono sviluppate dalla gente celtica che viveva sulle nostre montagne».
La precisione con cui sono costruiti antichi strumenti, come il "Calendario di Coligny", porta a chiedersi se i Celti non avessero già conoscenze cui noi, in epoca moderna, siamo arrivati solo dopo lunghi secoli: «ogni periodo storico ha le sue scoperte che sono frutto anche della tecnologia diffusa in quel periodo - ha concluso l'esperto - nel primo millennio a.C. non esistevano strumenti astronomici, quali ad esempio i telescopi, quindi si traguardavano i punti di levata e di tramonto degli astri utilizzando dei pali in legno e si misuravano le distanze mediante le corde munite di nodi equidistanti. Comunque il livello raggiunto dalle loro conoscenze astronomiche dei Celti è notevole, ed il "calendario di Coligny" ne è una prova concreta. Lo svilupo di tale calendario richiese una profonda conoscenza dei cicli periodici della Luna e del Sole ottenuta su base empirica, ma con notevole accuratezza, che è di poco inferiore a quanto sappiamo misurare oggi con la nostra strumentazione. La differenza è che noi attualmente possiamo ottenere, con gli strumenti attuali, dati precisi in breve tempo, mentre 2500 anni fa pressochè la stessa precisione era ottenibile con anni di paziente osservazione continuata nel tempo».