LE STATUE-STELE E I SITI ARCHEOLOGICI DELLA LUNIGIANA
Nel capitolo precedente abbiamo esaminato le evidenze archeologiche nell’area di diffusione delle statue-stele. Ne risulta chiaro che i siti archeologici si concentrano nella Val di Vara e nell’alta Valle dell’Aulella, in effetti ai margini della zona di maggior concentrazione delle statue-stele, cioè il triangolo formato dal fiume Magra, dal basso corso dell’Aulella e dalla catena appenninica.
Come possiamo collegare questi dati al fenomeno delle statue-stele?
L’Eneolitico e l’alta Valle dell’Aulella (dal 2800 al 1800 a. C. circa)
Come abbiamo visto, l’Eneolitico lunigianese è ben attestato nell’alta Valle dell’Aulella, con le sue grotte sepolcrali e i suoi ripari sotto roccia e l’allineamento delle stele di Pontevecchio. Inesistenti sono invece i reperti eneolitici nella Val di Vara, mentre nella Val di Magra l’unica evidenza eneolitica è costituita da quattro statue-stele, cioè quella di Campoli (n° 50), le due di Moncigoli (n° 4 e n° 5) e l’esemplare di San Cristoforo di Gordana ( n° 15). E’ difficile dire se la quasi totale assenza di reperti dell’età del Rame nella maggior parte della Lunigiana dipenda dalla mancanza o insufficienza delle indagini archeologiche, o da una effettiva discontinuità dell’insediamento.
Allo stato attuale degli studi, la Lunigiana eneolitica ci appare come una regione scarsamente abitata e quasi solo nella Valle dell’Aulella. I gruppi umani che qui risiedevano erano prevalentemente allevatori di ovini e praticavano la transumanza, cioè si spostavano regolarmente dai monti al mare e viceversa, alla ricerca di pascoli verdi per il bestiame. Non c’erano abitati veri e propri, dove risiedere in pianta stabile tutto l’anno. Come ripari, per lo più occasionali, venivano utilizzate piccole grotte e cavità nella roccia. Presumibilmente, in questi spazi si praticavano tutte le attività di contorno alla pastorizia. Pensiamo, per esempio, ai resti ossei di animali d’allevamento trovati alla Tecchia della Gabellaccia, animali che, probabilmente, venivano macellati per soddisfare le esigenze della comunità in transito. Alla suddetta Tecchia è stato rinvenuto anche un focolare, indizio che il sito era frequentato sì saltuariamente, ma per periodi piuttosto lunghi.
Non si viveva di solo allevamento. Sicuramente avvenivano anche scambi di tipo commerciale. Sulla base degli oggetti trovati nei corredi delle cavernette sepolcrali, siamo in grado di ricostruire le due direttrici principali del “commercio” eneolitico: verso il mare e e nell’area transappenninica. Il commercio con le zone costiere è testimoniato dai numerosi monili in conchiglie trovati, per esempio, alla Tana della Volpe di Equi. La merce di scambio doveva essere costituita, per lo più, da prodotti ricavati dall’allevamento e dalla pastorizia. Il mare, ovviamente, offriva il sale, usato per conservare la carne macellata e per trattare le pelli di animali.
I contatti con le zone al di là degli Appennini risultano evidenti per la presenza nei corredi funerari di oggetti soprattutto remedelliani. Citiamo di nuovo, per esempio, il pugnaletto litico della Tana della Volpe di Equi, che trova numerosi confronti con gli esemplari della necropoli di Remedello e con la lama in selce della tomba n° 12 del fondo La Pista a Fontanella Mantovana (Tav. IX, fig. 5).
I dati più interessanti, che gettano luce su alcuni aspetti della società eneolitica lunigianese, provengono dalle cavernette sepolcrali e dai riti funerari qui riscontrabili. I morti venivano sepolti, secondo il rito dell’inumazione, in grotticelle d’altura. Grotte sepolcrali erano, per esempio, le già ricordate Tecchia di Equi e Tana della Volpe. Qui sono stati trovati resti scheletrici, rispettivamente, di 30 e 18 individui, tra adulti, adolescenti e bambini, con i loro corredi. Le ossa erano deposte in maniera caotica, non in connessione. Questo fatto è variamente spiegabile. Si potrebbe pensare che le caverne venissero usate come luogo per una seconda deposizione, dopo il rito della scarnificazione, oppure che i deposti venissero spinti ai margini della grotta per far luogo a nuove deposizioni. Il numero relativamente alto di individui sepolti in queste grotte e la presenza di varie fasce d’età farebbe pensare a deposizioni di famiglia.
L’esistenza di tombe di famiglia fa immediatamente pensare ad una struttura sociale relativamente semplice, di cui la famiglia, intesa in senso allargato, costituisce la cellula fondamentale. All’interno del nucleo familiare si produce tutto ciò che serve al sostentamento del gruppo, mediante la duplice attività dell’allevamento e dello scambio. Se si ipotizza l’esistenza di una coscienza familiare, bisogna anche immaginarsi una sorta di culto degli antenati, dai quali ogni membro della piccola comunità discendeva. Ecco che, in questo modo, si potrebbe spiegare la presenza delle statue-stele. Esse sarebbero dunque la raffigurazione degli antenati, percepiti come una sorta di numi tutelari, il cui culto conferiva fortuna e prosperità alla comunità. Pensiamo alle nove statue-stele trovate a Pontevecchio. Il loro perfetto allineamento fa immaginare una sorta di santuario, dove rendere omaggio ai “padri”. La presenza di statue-stele femminili non contraddice questa ipotesi. Durante l’Eneolitico, la donna era un elemento fondamentale della società. In quest’epoca non si era ancora affermata quella mentalità fortemente maschilista, che troviamo nell’età del Ferro.
L’età del Bronzo (dal 1800 al 900 a.C. circa)
La Lunigiana è piuttosto ricca di testimonianze relative all’età del Bronzo, anche in aree donde non sono emerse tracce eneolitiche.
Esaminando la carta di distribuzione dei ritrovamenti, ci accorgiamo che questi sono distribuiti in tre zone nettamente delimitate, cioè la Val di Vara e la bassa Val di Magra, l’alta Valle dell’Aulella e, infine, l’ampia zona centrale formata dall’alta Val di Magra, dalla Valle del Taverone e dal basso corso dell’Aulella.
La Val di Vara è molto ricca di insediamenti abitativi, ma vi è attestata una sola statua-stele, oltre alle due trovate nell’adiacente bassa Val di Magra. La Valle dell’Aulella mostra continuità nella frequentazione degli abitati dell’Eneolitico, accanto a tracce di nuovi insediamenti, come il Castellaro di Pieve S. Lorenzo. In quest’area sono state trovate poche statue-stele, quella di Reusa (n° 56), quella di Codiponte (n° 21) e le tre di Minucciano (n° 36, n° 37 e n° 38). Il triangolo della Val di Magra, della bassa Valle dell’Aulella e della catena appenninica vede invece il proliferare delle statue-stele, ma vi mancano del tutto altre evidenze archeologiche.
L’impressione che si ricava da queste considerazioni è quella di una vasta regione abitata peraltro solo ai margini e limitatamente alle zone d’altura, con un ampio distretto centrale destinato piuttosto ad accogliere i simulacri del culto indigeno. La presenza di vasti giacimenti di arenaria in quest’area spiegherebbe perchè proprio qui e non altrove si sono trovate così numerose statue-stele. Sembra quasi che tale caratteristica geologica del territorio abbia spinto a scegliere l’alta Val di Magra come una sorta di grandioso santuario “naturale”.
Esaminando le evidenze archeologiche dell’età del Bronzo, notiamo una certa continuità nel modo di vita e nelle attività economiche, rispetto all’Eneolitico. Come abbiamo già accennato, alcuni insediamenti eneolitici continuano in effetti ad essere frequentati, anche se in misura minore. E’ il caso, per esempio, della Tecchia della Gabellaccia, uno dei più importanti rifugi dell’uomo eneolitico. La scarsità dei frammenti ceramici qui trovati indicherebbe peraltro una ridotta frequentazione. Accanto ai consueti rifugi, inizia a comparire un altro tipo di insediamento, il “castellaro”. Si tratta di agglomerati di capanne posti su un’alta vetta e in prossimità di strapiombi, caratteristiche che assicuravano una protezione naturale e una maggior difendibilità, rispetto alle più tradizionali grotte.
Dall’esame dei reperti del Castellaro di Zignago, tipico esempio di villaggio dell’età del Bronzo, si ricavano alcune considerazioni interessanti. Innanzitutto la notevole altezza a cui sorge il castellaro - m 900 s.l.m. - fa pensare che si trattasse di un insediamento stagionale e, in particolare, estivo. In inverno, le temperature piuttosto rigide ne rendevano difficoltosa l’abitabilità e favorivano lo spostamento degli abitanti verso zone più basse. Questo ben si accorda con la pratica della transumanza, ancora testimoniata dai resti ovini e caprini trovati alla Tecchia della Gabellaccia.
Un altro dato che si ricava dall’esame del Castellaro di Zignago, è la pratica dell’agricoltura. Infatti in questo sito sono stati trovati semi di grano e macine. Ma ci riesce difficile pensare che a questa altezza l’agricoltura fosse praticata con successo: perciò dobbiamo ritenere che nel castellaro si lavorassero prodotti coltivati a quote più basse.
I contatti con le zone costiere sembrano intensificati, rispetto all’età del Rame. Non si tratta più di semplici scambi ma, probabilmente, di veri e propri rapporti di lavoro. Due sono gli indizi che ci fanno formulare questa ipotesi. Innanzitutto, nel ripostiglio di bronzi di Pariana sono state trovate alcune fiocine utilizzate per la pesca in mare. Il ritrovamento di questi oggetti in una località piuttosto interna rispetto alla costa, induce a pensare che la pesca in mare fosse praticata anche da chi non abitava direttamente sul litorale. In secondo luogo, a Boceda e ad Arcola, due località della fascia costiera, sono emerse due statue-stele, gli unici due esemplari in quest’area. Ciò induce a pensare che chi le ha erette risiedesse qui spesso e per periodi sicuramente non brevi, tanto da sentire la necessità di avere vicino le immagini dei propri numi tutelari.
Per quanto riguarda l’aspetto funebre, possiamo dire che durante l’età del Bronzo, pur perdurando l’inumazione in grotticelle d’altura, inizia anche a comparire il rito dell’incinerazione. Le ceneri venivano sistemate in apposite urne che venivano, poi, deposte direttamente nel terreno. Così almeno ci sembra di dedurre dall’unica tomba ad incinerazione trovata, quella di Rossano nello Zerasco.
Nel quadro descritto, come possiamo inserire le statue-stele? Abbiamo già detto che il triangolo fiume Magra - Aullella - catena appenninica ne ha restituito un notevole numero, ma nessuna traccia di insediamenti. Ipotizziamo che questa zona fosse riservata esclusivamente al culto, una sorta di grande santuario naturale, come abbiamo già detto, per tutte le genti di Lunigiana. L’alta Valle dell’Aulella era, poi, la sede di un santuario minore, a Minucciano, dove sono state trovate tre statue-stele e, in contesto con la Minucciano III (n° 38), alcuni frammenti ceramici, forse resti di offerte votive.
Se le statue-stele erano indubbiamente oggetto di culto religioso, è problematico capire chi si volesse raffigurare con esse. E’ possibile che si continuassero a venerare, come presumibile per l’età del Rame, gli antenati divinizzati. E’ inoltre verosimile che le stele venissero poste in luoghi privilegiati per ragioni che oggi ci sfuggono, e che la loro funzione primaria fosse proprio quella di proteggere tali luoghi.
L’età del Ferro (dal 900 a.C. alla romanizzazione circa)
Durante l’età del Ferro, la Lunigiana doveva essere abitata anche dove non lo era stata durante l’età del Bronzo, cioè nel triangolo Magra-Aulella-Appennini. Si hanno, infatti, notizie di sepolture a Canossa, Filattiera, Ponzono (Aulla).[1]La presenza di queste sepolture è per noi la prova dell’esistenza di gruppi umani residenti, anche se non sono ancora emerse tracce di abitati.
In Val di Vara è accertata la presenza di numerosi insediamenti. Il villaggio tipico continua ad essere il castellaro, che in alcuni casi sembra qualcosa di più di un semplice rifugio stagionale. Pensiamo al Castellaro di Castelfermo e alle mura che lo circondano. Proprio la presenza di questa fortificazione ci induce a pensare che i residenti volessero protezione per tutto l’anno. Il Castellaro di Zignago non sembra invece frequentato in questo periodo, e al suo posto assistiamo alla nascita di un piccolo insediamento più a valle, cioè a Vezzola. La Val di Vara aveva una sua necropoli, la Gennicciola, che conta circa una settantina di tombe a cassetta, purtroppo distrutte poco dopo il loro ritrovamento. Non sono state trovate, invece, statue-stele.
Nell’alta Valle dell’Aulella incontriamo, invece, due tipi diversi di insediamenti, un castellaro vero e proprio, a Pieve S. Lorenzo, e un villaggio di capanne senza fortificazioni nè naturali nè artificiali, a Codiponte. In questa zona sono state trovate solo due statue-stele.
Le differenze culturali maggiori, rispetto all’età del Bronzo, sono l’esclusività del rito funerario dell’incinerazione, con deposizione in cassette litiche, la comparsa della scrittura alfabetica e alcuni significativi cambiamenti nell’assetto sociale.
Quasi tutte le statue-stele di questo periodo presentano iscrizioni in caratteri etruschi, ma in lingua celtica, segno questo del perdurare dell’influenza sulla Lunigiana delle aree d’oltralpe, influenza che ci appare ininterrotta fino almeno dall’Eneolitico. Non conosciamo il significato preciso di queste iscrizioni. Tuttavia, considerando che ogni stele non reca mai più di una parola, si deve pensare che l’iscrizione indichi un nome individuale o etnico, forse del dedicante. Questo fatto è un primo chiaro indizio che la società era mutata, rispetto alle epoche precedenti. Chi poneva il suo nome sulla stele era probabilmente un personaggio importante della comunità, e quest’atto serviva proprio a rimarcare il suo status. Dobbiamo quindi pensare ad una società non più ugualitaria, ma già divisa in classi. C’era probabilmente una sorta di aristocrazia dominante, portatrice di un’ideologia fortemente maschilista. Ricaviamo questo nuovo dato proprio dall’esame delle statue-stele: infatti, a differenza di quelle dell’età del Rame e del Bronzo, le statue-stele dell’età del Ferro sono esclusivamente maschili. Inoltre, il loro sesso non è più indicato solamente dalle armi, ma anche dalla raffigurazione esplicita degli attributi sessuali, cosa che sembra essere un atto voluto di enfatizzazione. C’è poi un altro elemento da considerare. Mentre durante l’Eneolitico e l’età del Bronzo le statue-stele maschili portavano una o al massimo due armi, pugnale e ascia, durante l’età del Ferro, invece, le armi raffigurate si moltiplicano: addirittura, la statua-stele di Reusa reca un piccolo scudo e un elmo. Si può dire che le statue-stele siano ora diventate non tanto l’oggetto di un culto religioso, quanto piuttosto il manifesto scultoreo dell’ideologia dominante, un’ideologia maschilista e guerriera. E’ chiaro che da questo nuovo modo di pensare il ruolo della donna usciva fortemente ridimensionato, rispetto alle epoche precedenti. Ed ecco il perchè della totale mancanza di statue-stele femminili.
[1]FORMENTINI U., Tomba di tipo ligure scoperta in località Ponzono (Aulla), in Not. Scavi Antichità, S. VII, vol. II, fasc. 7, 8, 9; vedi inoltre GIULIANI M., Tomba ad incinerazione nell’Alta Val di Magra, in Giornale St. Lett. Liguria, XV, III